lunedì 13 giugno 2011

Diario di un L.P. 3-Un'Elezione Difficile



Un mese! Un mese e ancora quei matti stavano a discutere. 

In verità erano partiti con le migliori intenzioni, e pareva sul serio che la nomina del nuovo priore avvenisse in capo a due giorni. Poi cominciarono ad essere tirate in ballo faccende assolutamente fuori luogo, e semmai ce ne fosse ancora bisogno, anche quella situazione mi confermò il detto secondo cui la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

All’inizio di tutto il casino fatto da Lutero, un nunzio della Curia fu spedito in Germania. Le sue istruzioni furono precise: “Vai a sistemare questo beghinaggio di frati”. A Roma mica erano scemi, lo sapevano che i frati ne avevano di beghe. Beghe infantili, ma in mano ad uomini adulti. Come se non bastasse, uomini adulti costretti a vivere tra loro per lungo tempo. Ed era così che la bega, da infantile, diventava capitale.

In quel frangente tutto ebbe inizio con stupide recriminazioni certo dimenticate ma evidentemente mai sopite “… e sia... ti do il mio voto anche se quella volta…”. Queste ne trascinarono dietro altre come un fiume in piena, e così si arrivò allo stallo. Ma lo stallo genera tensione, la quale è causa d’insulti.

Ogni frate, oltre al nome sacerdotale (fra Bartolo, fra Celestino ecc) era marchiato anche con un nome fittizio in cui il sacro aveva a che fare come una suora in un bordello (o viceversa). C’erano ad esempio “fra cipolla” o “fra formaggio”, così chiamati per i loro gusti culinari; “fra pisello”, così detto per le dimensioni del suo organo (in quel caso non riproduttivo, o almeno si sperava). “Fra trinchetto” doveva il suo nome al piacere di trincare il vino anche al di là dei pasti o della S. Messa. Lo stesso fra Bartolo, per via del suo alito, veniva chiamato “fra puzzone”. Oppure fra Ubertone, detto “fra scoreggia” per ovvi motivi.

Infine esisteva la categoria degli appellativi feroci. Uno su tutti, fra Gianni. In realtà si chiamava Giovanni Carlo, abbreviato per comodità in un semplice Giancarlo. Si mormorava che adesso vivesse irreprensiblmente, ma allo stato laico non aveva affatto disdegnato la compagnia di uomini. E tanto era bastato per diventare “fra gianculo”.

Lo so, somportamenti più adatti a dei ragazzi che a degli uomini adulti, ma quegli uomini si erano votati ad una vita particolare e di sacrificio, la quale, per essere più sopportabile, necessitava di una buona dose di sciocchezze.
 
Ovviamente quei soprannomi venivano relegati ad una sfera privata. Nessuno di loro si sognava di pronunciarli in presenza dell’interessato. Mai, fino a quel maledetto Capitolo. Con un problema che non vi sarà sfuggito: alcuni erano più offensivi di altri. E coloro i quali venivano chiamati nel modo più cattivo, per riportare le cose al pari non trovarono di meglio che far volare i cazzotti.

 Le offese rimasero un ricordo nel giro di quindici giorni. 

Ora si era passati direttamente alle risse. Non c’era giorno che non uscissero dal Capitolo tutti pesti. E data l’età di alcuni, di quel passo ci sarebbe scappato il morto.

Anch’io provai più volte a fare da paciere, ma più delle parole dovetti usare calci e pugni. 

L’uomo è uomo e la violenza gli è compagna per natura. La vita da frati rappresentava un buon sistema per controllarla, ma quando capitava l’occasione di sfogarla tutta d’un colpo erano guai. Un’orda di turchi votata al martirio avrebbe fatto la figura di educande verginelle alle prese col bucato al confronto di un branco di frati incattiviti.

Non mi rimase altra scelta che tornarmene a Bologna per intercedere presso il vescovo. Costui, adirato, riuscì a riportare alla ragione quella masnada impazzita, e di lì a pochi giorni ebbe luogo l’elezione.
Deo gratia!

-Bravi! Complimenti! Davvero ottima scelta!
-Vero? Ne convenite anche voi?

Fra Ubertone aveva un occhio nero, la mano destra gli doleva per via di un cazzotto dato maldestramente, e l’ironia sottesa alle mie parole gli era sfuggita come un gatto alle prese con l’acqua.

-Mi avete fatto perdere un sacco di tempo –continuai- vi siete quasi ammazzati e per cosa? Per eleggere fra Bartolo!

-E’ uomo saggio e d’esperienza.
-Ne sono convinto caro Ubertone, ma di qui a poco sarete costretti ad una nuova elezione. Quanti anni ha quell’uomo? Cento? Duecento?
Fra Ubertone si grattò la testa e ci pensò su: -Mah… lui dice sessanta. Altri confratelli ottanta.
Era normale che la gente non conoscesse la propria età. Molti facevano fatica a ricordare sia il mese che l’anno in corso, quando proprio lo ignoravano del tutto. Figurarsi se si preoccupavano di conoscere la propria data di nascita.

-Comunque –tagliai corto- domani ho intenzione di partire. Pensate di potermi accompagnare senza problemi ho avete bisogno ancora di qualche giorno per leccarvi le ferite?
-No, no. Possiamo partire.
-Bene.

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