giovedì 23 giugno 2011

Geni Icompresi



Geni!
 E pensate che questa gente la pagano pure.
 

lunedì 20 giugno 2011

Quirkology E Coma Etilico



Ora, una bella sbornia ce la siamo presa tutti nella vita no?

Secondo me però questi hanno del fantascientifico.
Spete cos'è la Quirkology?
La Quirkology studia la psicologia dei fatti quotidiani e banali.
Si è ad esempio contato di nascosto il numero di persone  che indossavano il cappellino da baseball nel senso giusto oppure al contrario.
Al di là della sua apprente banalità, la Quirkology svela leggi importantissime alla base dei nostri comportamenti e del funzionamento della nostre mente.
E se mai un giorno dovesse nascere una Quirkology della medicina
dovrebbe studiare certa gente, perché:
A) com'è possibile ridursi così?
Ma soprattutto:
B) com'è possibile ridursi così senza morire?




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domenica 19 giugno 2011

Aboliamo Questi maledetti Genitori



 Di genitori idioti che usano i propri figli per un insensato esibizionisto abbiamo visto in un precedente post.

Qui potete ammirare un'altra galleria degli orrori.





giovedì 16 giugno 2011

Quando si dice uno Stronzo!



Benvenuti fra gli acefali. Che soddisfazione a 30 anni divertirsi a smerdare un bagno pubblico. Poteva mancare il compare deficiente che riprende tutto per mostrarlo al mondo?
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Aboliamo i Genitori



Coglioni che dimenticano i figli in macchina. E coglioni che li usano per fare certe foto e metterle in rete. 
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mercoledì 15 giugno 2011

Poeti in Musica



Questo signore si chiama Serafino Aquilano. Costui visse nel culto del Canzoniere del Petrarca (di cui, a differenza della Divina Commedia possediamo i manoscritti originali), imparò a memoria l'intero corpus di sonetti, canzoni e Trionfi

Li accordò con la musica e partendo da Roma, nel 1492, girò per le corti di Urbino, Mantova, Mantova e Milano, dove cantò il Petrarca suonando il liuto.

Divenuto celebre, venne richiesto in tutta Italia e trattato munificamente.
Di lì partì la voga musicale del Petrarca che durerà fino al trado Seicento.

Ma non solo il Petrarca fu oggetto di attenzioni musicali. Ascoltate un esempio di messa in musica (di autore anonimo) della celebre Canzone di Bacco di Lorenzo il Magnifico... chi vuol esser lieto sia, del doman non v'è certezza...


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martedì 14 giugno 2011

Le Cagate di Focus e la Mummia di Munch



 
Lo conoscete tutti, si tratta del celebre Urlo del norvegese Edvard Much. 


Sul web gira la notizia che Munch, per il suo dipinto, si sia ispirato a questa mummia.

In realtà si tratta di una notizia messa on-line da Focus (vedi qui la pagina) e ripresa acriticamente da molti siti e blog.

In effetti Munch si è ispirato ad una mummia (anzi, l'ha proprio copiata) ma è questa che vedete qui, non quella segnalata da Focus.

La mummia in questione si trova al Museo di Storia Naturale di Firenze, e sappiamo che il pittore soggiornò a Firenze e visitò il museo.

lunedì 13 giugno 2011

Diario di un L.P. 3-Un'Elezione Difficile



Un mese! Un mese e ancora quei matti stavano a discutere. 

In verità erano partiti con le migliori intenzioni, e pareva sul serio che la nomina del nuovo priore avvenisse in capo a due giorni. Poi cominciarono ad essere tirate in ballo faccende assolutamente fuori luogo, e semmai ce ne fosse ancora bisogno, anche quella situazione mi confermò il detto secondo cui la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

All’inizio di tutto il casino fatto da Lutero, un nunzio della Curia fu spedito in Germania. Le sue istruzioni furono precise: “Vai a sistemare questo beghinaggio di frati”. A Roma mica erano scemi, lo sapevano che i frati ne avevano di beghe. Beghe infantili, ma in mano ad uomini adulti. Come se non bastasse, uomini adulti costretti a vivere tra loro per lungo tempo. Ed era così che la bega, da infantile, diventava capitale.

In quel frangente tutto ebbe inizio con stupide recriminazioni certo dimenticate ma evidentemente mai sopite “… e sia... ti do il mio voto anche se quella volta…”. Queste ne trascinarono dietro altre come un fiume in piena, e così si arrivò allo stallo. Ma lo stallo genera tensione, la quale è causa d’insulti.

Ogni frate, oltre al nome sacerdotale (fra Bartolo, fra Celestino ecc) era marchiato anche con un nome fittizio in cui il sacro aveva a che fare come una suora in un bordello (o viceversa). C’erano ad esempio “fra cipolla” o “fra formaggio”, così chiamati per i loro gusti culinari; “fra pisello”, così detto per le dimensioni del suo organo (in quel caso non riproduttivo, o almeno si sperava). “Fra trinchetto” doveva il suo nome al piacere di trincare il vino anche al di là dei pasti o della S. Messa. Lo stesso fra Bartolo, per via del suo alito, veniva chiamato “fra puzzone”. Oppure fra Ubertone, detto “fra scoreggia” per ovvi motivi.

Infine esisteva la categoria degli appellativi feroci. Uno su tutti, fra Gianni. In realtà si chiamava Giovanni Carlo, abbreviato per comodità in un semplice Giancarlo. Si mormorava che adesso vivesse irreprensiblmente, ma allo stato laico non aveva affatto disdegnato la compagnia di uomini. E tanto era bastato per diventare “fra gianculo”.

Lo so, somportamenti più adatti a dei ragazzi che a degli uomini adulti, ma quegli uomini si erano votati ad una vita particolare e di sacrificio, la quale, per essere più sopportabile, necessitava di una buona dose di sciocchezze.
 
Ovviamente quei soprannomi venivano relegati ad una sfera privata. Nessuno di loro si sognava di pronunciarli in presenza dell’interessato. Mai, fino a quel maledetto Capitolo. Con un problema che non vi sarà sfuggito: alcuni erano più offensivi di altri. E coloro i quali venivano chiamati nel modo più cattivo, per riportare le cose al pari non trovarono di meglio che far volare i cazzotti.

 Le offese rimasero un ricordo nel giro di quindici giorni. 

Ora si era passati direttamente alle risse. Non c’era giorno che non uscissero dal Capitolo tutti pesti. E data l’età di alcuni, di quel passo ci sarebbe scappato il morto.

Anch’io provai più volte a fare da paciere, ma più delle parole dovetti usare calci e pugni. 

L’uomo è uomo e la violenza gli è compagna per natura. La vita da frati rappresentava un buon sistema per controllarla, ma quando capitava l’occasione di sfogarla tutta d’un colpo erano guai. Un’orda di turchi votata al martirio avrebbe fatto la figura di educande verginelle alle prese col bucato al confronto di un branco di frati incattiviti.

Non mi rimase altra scelta che tornarmene a Bologna per intercedere presso il vescovo. Costui, adirato, riuscì a riportare alla ragione quella masnada impazzita, e di lì a pochi giorni ebbe luogo l’elezione.
Deo gratia!

-Bravi! Complimenti! Davvero ottima scelta!
-Vero? Ne convenite anche voi?

Fra Ubertone aveva un occhio nero, la mano destra gli doleva per via di un cazzotto dato maldestramente, e l’ironia sottesa alle mie parole gli era sfuggita come un gatto alle prese con l’acqua.

-Mi avete fatto perdere un sacco di tempo –continuai- vi siete quasi ammazzati e per cosa? Per eleggere fra Bartolo!

-E’ uomo saggio e d’esperienza.
-Ne sono convinto caro Ubertone, ma di qui a poco sarete costretti ad una nuova elezione. Quanti anni ha quell’uomo? Cento? Duecento?
Fra Ubertone si grattò la testa e ci pensò su: -Mah… lui dice sessanta. Altri confratelli ottanta.
Era normale che la gente non conoscesse la propria età. Molti facevano fatica a ricordare sia il mese che l’anno in corso, quando proprio lo ignoravano del tutto. Figurarsi se si preoccupavano di conoscere la propria data di nascita.

-Comunque –tagliai corto- domani ho intenzione di partire. Pensate di potermi accompagnare senza problemi ho avete bisogno ancora di qualche giorno per leccarvi le ferite?
-No, no. Possiamo partire.
-Bene.

domenica 12 giugno 2011

Pippa Middleton e l'Aretino




Si chiama Philippa Charlotte Middleton; tutti la chiamano Pippa.



 Pietro Aretino, il Tinto Brass della letteratura, nei suoi Ragionamenti (il titolo completo è Ragionamento della Nanna e della Antonia, fatta in Roma sotto una ficaia, composto dal divino Aretino Pietro per suo capriccio, a correttione dei tre stati delle donne), si pone una curiosa domanda.
Il libretto, che uscì nel 1534 e andò a ruba, è diviso in tre "giornate" dedicate ciascuna ad una delle tre canoniche condizioni della donna: monaca, maritata, puttana.

La Nanna racconta le sue piuttosto sconce esperienze, per ottenere alla fine un consiglio dall'Antonia: a quale carriera le converrà avviare la sua giovane figlia?
E indovinate come si chiamava la giovane figlia della Nanna? Eh si... proprio Pippa.

sabato 11 giugno 2011

Elefante Scatenato



Goffi, tranquilli. Forse più di ogni altro essere vivente, l'elefante è quello che occupa il posto privilegiato tra gli animali che se la prendono comoda.
E invece, come dimostra questo video, anche gli elefanti si incazzano. E quando succede diventano cattivi. E sono guai.


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Automobile fatta in Casa o Ennesima Bufala?



Lo sapete tutti, la rete è piena di fake. Ho trovato questa documetazione fotografica che attesterebbe di un tipo che si è fatto una Porsche in casa.

Secondo voi è possibile una cosa del genere o si tratta dell'ennesima bufala?
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giovedì 9 giugno 2011

Come Si Chiamano Davvero



Conoscete i loro veri nomi?
Allen Konigsberg
Caryn Johnson






David Robert Jones

 

Issur Danielovitch Demsky
Georgios Panaylotou







 

mercoledì 8 giugno 2011

Achille Low Cost


Non so a voi, ma a me Troy ha sempre fatto cagare.


martedì 7 giugno 2011

Diario di un L.P.2-La Cena

 LEGGI LA PRIMA PARTE
Come arrivammo nel refettorio, uno dei frati si mise a berciare: -Ma Giuda dov’è? Si trattava del gatto (Giuda, che nome buffo per una bestia) perché quel frate aveva intravisto un topo. Io nemmeno l’avevo notato: figuriamoci, in aperta campagna, solo un topo. Quasi un miracolo. Evidentemente lì dentro si teneva alla pulizia. Peccato solo per l’arredamento: tavolacci smozzicati e panche tarlate era il non plus ultra per quei quindici religiosi.

Io ho sempre pensato alla fortuna dei frati di S. Maria delle Grazie, a Milano. Poter contemplare un capolavoro come L’Ultima Cena (Leonardo da Vinci, non so se mi spiego) mica era cosa da poco per dei tonacati riuniti a mangiare. La regola monastica di S. Benedetto infatti fu dettata da tutto fuorché da uno scherzo. Durante i pasti, ascolto delle Sacre Scritture, della cui lettura ad alta voce veniva incaricato un monaco a rotazione settimanale. Il lettore avrebbe mangiato dopo. Giusto un po' prima, se questo era d’aiuto a sopportare la fatica. Durante la lettura, obbligo del silenzio più assoluto; ci si poteva esprimere soltanto a gesti.
Ma per fortuna le regole erano fatte per essere infrante, e quella di S. Benedetto non faceva eccezione. Sembrava di essere in un’osteria, forse peggio. Non solo nessuno leggeva niente, ma la conversazione era tanto concitata che a tratti diventava sguaiata. Tra un tortellino e una fetta di mortadella (la nuova leccornia bolognese per eccellenza il cui pregio aveva superato di gran lunga quello del prosciutto, e la cui fama si era spinta talmente in là da venir commerciata perfino nelle Americhe), nonché domande urlate da ogni dove, mi riuscì finalmente di dire: -Si, ripartirò domani.


 
BUM… silenzio improvviso. Manco avessi urlato una bestemmia. Be’, che avevo detto di tanto male?
-Ma non potete andarvene domani - intervenne fra Bartolo-.
-Perché? Sono venuto qui solo per il libro.
-Appunto –fu la volta di fra Celestino- il libro non è qui.
Ecco come far mandare di traverso il vino a qualcuno. Attaccai a tossire e alcuni di loro cominciarono a darmi colpi sulla schiena per farmela passare; quando si dice la premura. Per poco non me la sfondarono la schiena, altroché.
-Non è niente, non è niente, sto bene –dissi scacciandoli- come il libro non è qui? Che significa?
-Non è in nostro possesso –continuò fra Celestino- perché purtroppo…
-Avete informato il vescovo di questo libro –lo interruppi io- costui ha informato Roma e io sono stato mandato appositamente qui per prenderne possesso. Ora invece mi state dicendo che non c’è!

Frate Bartolo, il vecchio sdentato con l’alito puzzolente che mi aveva accolta in chiesa, fece uno dei suoi sorrisi: -Vedete signor legato… non abbiate a pigliarla a male… ma anche a noi la notizia dell’esistenza di questo libro è giunta. Però non è mai stato in nostro possesso. Ce l’ha una comunità di anacoreti che vive nei pressi di un minuscolo borgo poco lontano dal nostro convento.
Fra Bartolo aveva usato il termine anacoreti, la parola derivante dal latino anacoretae, che significava: colui che vive ritirato. Non era che il corrispettivo del termine greco monos, ovvero solo, da cui poi derivava l’usuale monaco. Evitando di chiamarli semplicemente eremiti, com’era più logico aspettarsi, ne dedussi che il vecchio fra Bartolo fosse istruito. Cosa tutt’altro che scontata, nonostante il saio.
-Non capisco la differenza –continuai-. Potevate farvelo consegnare. Lo sapevate che sarebbe stato mandato qualcuno da Roma. Ci sono forse problemi?
-In che senso?
-Intendo, questi anacoreti non intendono separarsi dal libro?
-No no –intervenne un frate ciccione di cui Curzio ignorava il nome- il fatto è che occorre un giorno intero di viaggio per raggiungerli. E solo ora la stagione lo permette. Fino adesso faceva buio troppo presto.

-Capisco.

-E poi –s’intromise di nuovo il vecchio fra Bartolo- abbiamo dovuto accudire il nostro povero abate.


Già. Mi era passato del tutto di mente. Anche ai frati a dire il vero, ma volli comunque rimediare alla scortesia.

-Quando è morto? –Chiese-

-Ieri notte.

Dalle condizioni in cui lo avevo visto quella mattina, sembrava morto da un anno.

-E di cosa?

-Non lo sappiamo. Pativa un malanno assai pietoso da molto tempo. Non mangiava quasi più niente e… combatteva contro un’incontenibile uscita di feci.

Il vecchio fra Bartolo misurò bene quelle parole ma gli altri trattennero comunque il riso a stento. Ecco il perché della brutta fama del riso come strumento del demonio. Impossibile altrimenti capire perché prendesse sempre nei luoghi e nei momenti meno adatti. Purtroppo anche a me veniva da ridere, così provai a rendere il tutto un po’ meno giocoso osservando come quella strana malattia fosse la stessa toccata in sorte a papa Innocenzo X.

Bravo Curzio, fu come curarsi il mal di denti con una martellata: se l’immagine di un vecchio abate che smerdava qualsiasi cosa gli capitasse sotto tiro faceva ridere, quella di un papa... lasciamo perdere. Meglio tornare al discorso di prima.

-E questi anacoreti –chiesi- sono per caso quietisti?

-Naturalmente –mi rispose premuroso il frate ciccione-.


Naturalmente.


Una concezione etica in cui si sosteneva la nullità di ogni azione volontaria e l’ineluttabile fatalità di ogni evento. Il quietismo. Divampato come un fuoco. Quasi una mania oramai. In esso veniva teorizzato un totale abbandono a Dio per amarlo e servirlo con la quiete e l’oblìo, senza alcuna produzione di opere. I quietisti andavano cercando l’annullamento completo dalla realtà secolare per rimettersi alla volontà divina. La cosiddetta “orazione di quiete” o “di silenzio” era il mezzo mistico col quale il perfetto quietista diventava una “canna vuota” suonata da Dio a suo piacimento, per la realizzazione dei suoi fini segreti. Il movimento era stato fondato a Roma da prete spagnolo Miguel Molinos come risposta cattolica a tutto quel casino fatto da Lutero in materia di libero arbitrio e predestinazione E io proprio non riuscivo a capire dove stesse la sua efficacia. Che poi mica era faccenda solo da preti. Anche molti laici diventavano quietisti. Ma sia gli uni che gli altri di solito non creavano problemi. Però c’era una postilla non proprio da poco: il movimento quietista vaticinava infatti una società di perfetti, riuniti in un unico ovile come agnelli innocenti. Agnelli non caduti e immuni da peccati. Questo perché il quietista, privo di volontà propria, non poteva commettere colpe. Né peccati veniali, né tantomeno mortali. Egli si sentiva un “impeccabile”. Quindi poteva succedere (e succedeva) che questa gente si montasse la testa. E diventasse fanatica. E allora erano guai. Io ne diffidavo non poco e speravo di cuore che quelli fossero quietisti autentici, ovvero quieti.

-E come ha fatto una comunità di quietisti a venire in possesso di quel libro? –Chiesi al frate ciccione-.

-Un dono di qualcuno di passaggio. Sono santi uomini, molta gente fa loro la carità.

-Fra Ubertone li conosce bene –s’intromise fra Clemente-. E’ cugino con uno di loro.


Quindi era quello il suo nome: Uberto; storpiato in Ubertone a causa della mole. Ma non si trattava di faccende per cui un frate avesse a pigliarla a male. Se uno del calibro di Jacopo de’ Benedetti non fece una piega a che lo chiamassero Jacopone da Todi, chi era quel grassone per incavolarsi?

Basta. Era stanco del viaggio e volevo mettere fine a quella serata.

-Cari fratelli –spiegai- credo di aver capito come stanno le cose. Purtroppo non potrò trattenermi alla S. Messa funebre per il vostro abate. A Roma vogliono risolvere questa faccenda al più presto. Quindi domani sarò costretto a partire subito dopo il Mattutino.

-Ma non potete andare –mi fece notare fra Ubertone-. Non conoscete la strada.

-Caro fra Ubertone, non pensate che di quindici confratelli quali siete, almeno uno di voi non sia così gentile da indicarmela?

-Non è questo il punto. Il fatto è che non c’è una strada.

-Come sarebbe a dire che non c’è?

-No. Bisogna attraversare il bosco ma non ci sono sentieri precisi. Io sono l’unico che sia in grado di arrivarci. Ogni anno, durante la stagione buona, mi reco là a trovare mio cugino almeno un paio di volte. Oramai ho memorizzato tanti piccoli particolari, quindi riesco ad arrivarci agevolmente. Ma voi vi perdereste di sicuro.

-Be’, poco male. Vorrà dire che mi accompagnerete.

-Ma non è possibile –intervenne di nuovo il vecchio fra Bartolo-. Da domani dovremo riunirci in Capitolo per eleggere il nuovo abate. Fra Ubertone non può mancare.

-Avete detto che occorre una giornata di cammino. Se aspetterete due giorni prima di cominciare l’elezione non sarà certo la fine del mondo!

Fra Bartolo sorrise di nuovo: -Oh, ma non dovete preoccuparvi. Il Capitolo è solo una formalità. Siamo già concordi su chi dovrà essere il nuovo abate, e saremo noi ad essercela sbrigata in capo a due giorni. Vi costa tanto aspettare?

Mi costava? Ci pensai, ma neanche troppo. Due giorni di riposo e di pasti succulenti. No, non mi costava.

-E va bene –convenni infine- aspetterò.
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